La rosa è universalmente riconosciuta come la regina tra i fiori e, nel corso della storia, ad essa sono state attribuite una miriade di simbologie e significati che ne fanno una pianta fortemente evocativa.
La rosa è simbolo solare e dell’eterno, della purezza, emblema prima di Venere poi della Madonna. Messaggero universale d’amore e di affetti.
Le origini delle rose coltivate, che si caratterizzano per un numero di petali straordinario andando ben oltre i cinque delle rose selvatiche, si perdono nella notte dei tempi. Esse sono il risultato di una lunga e paziente opera di selezione e ibridizzazione operata dai giardinieri tra specie selvatiche, soprattutto Rosa canina e Rosa gallica ed entità esotiche.
Già il sommo erudito romano Plinio il Vecchio, nei primi anni dell’era cristiana, descriveva con puntiglio le varietà di rose coltivate più note ed apprezzate in Italia e nel Mediterraneo. Le caratteristiche prese in considerazione dal naturalista latino erano il colore dei fiori, il profumo, la ruvidezza, la levigatezza e il numero dei petali (numero elevatissimo raggiunto, ad esempio, nella varietà centifoliam). Dal periodo romano ad oggi, la selezione è continuata e sono stati creati tantissimi nuovi ibridi di rose coltivate, dai fiori sempre più vistosi e dai colori diversi e ricercati.

Le nuove varietà man mano si sostituiscono alle vecchie, più umili, meno appariscenti ma spesso più profumate e legate a vecchi ricordi.
Nel Giardino delle Rose Dimenticate, realizzato su una rupe che domina la Valle dell’Aventino (territorio segnato da una biodiversità straordinaria) e in un luogo straordinario dove la Madonna (secondo la tradizione popolare) apparve proprio su una pianta di rose, si vogliono raccogliere e perpetuare le rose del passato. Le rose antiche piantate a ridosso delle masserie dirute, dei pozzi e delle fonti inaridite, nelle campagne abbandonate. Ridare nuova vita a questi fiori che hanno dato colore e profumo alla vita di donne e uomini del passato, spesso segnata da fatiche e privazioni, ma anche da gioia e poesia. Oltre alle varietà di rose antiche coltivate, intorno alla rupe calcarea sono raccolte anche le rose selvatiche abruzzesi, quelle da cui sono state selezionate le antiche varietà.
L’intento è quello di preservare la biodiversità, seppure limitato al genere Rosa e alle sue cultivar, perché preservare la diversità della vita significa anche mantenere la diversità culturale tra gli uomini.
La diversità è un valore positivo e irrinunciabile sia per gli ecosistemi che per le società umane.

I versanti della valle del fiume Aventino sono costellati da enormi affioramenti rocciosi isolati di diversa natura geologica (calcarea, gessosa, arenacea) che ne caratterizzano in modo suggestivo il paesaggio.
In passato, prima che la Geologia iniziasse a muovere i suoi primi passi, l’uomo cercava di spiegare questi e altri fenomeni naturali attraverso leggende e racconti che, tramanti per secoli e millenni, si sono radicati nelle tradizioni popolari, nella mitologia e, in generale, nella cultura delle popolazioni locali. Quale gigantesca forza, ma soprattutto, ‘chi’ era riuscito a spostare, a poggiare, a scolpire queste enormi rocce? La tradizione popolare della Valle dell’Aventino narra delle gesta di un gigante, buono e muscoloso, Sansone. “Un giorno Sansone si fermò presso la Maiella e, in quel di Palena, si caricò sulle spalle un’enorme roccia. Durante il suo cammino lungo la valle, il gigante biblico poggiò ‘la Morgia’ (l’enorme roccia) mettendo un piede sulla rupe della Madonna delle Rose e l’altro nel versante opposto della valle (nei pressi di Lama) lasciandovi le sue orme”. La ‘Morgia’ è un mastodontico affioramento roccioso situato lungo la strada che conduce a Gessopalena. Sempre secondo la tradizione popolare, lo stesso fiume Aventino fu originato dalla minzione del gigante. L’abbandono progressivo della città romana di Iuvanum, da parte dei suoi abitanti (a partire dal IV-V secolo), generò le prime comunità cristiane. Esse si insediarono lungo i versanti della valle del fiume Aventino sfruttando la ‘protezione’ offerta da questi enormi massi affioranti, ove, ancora oggi, si situano numerosi paesi (Colledimacine, Fallascoso, Torricella, Gessopalena, etc.).
Con l’avvento del cristianesimo, Sansone prese il posto di Ercole che, nella cultura romana, era il dio guerriero, protettore dei commerci e custode della transumanza delle greggi. La pastorizia, nel corso dei secoli passati, è stata una delle attività più praticate nella Valle dell’Aventino; infatti, essa risultava essere, con numerosi opifici dediti alla filiera della lana, una delle ‘aree proto-industriali’ più importanti del Regno di Napoli. La rupe su cui si ravvisa la ‘pedata di Sansone’ è situata in una posizione geografica strategica; essa si rinviene su un versante al centro della valle e risulta essere un ottimo punto di osservazione e di controllo su quasi l’intero territorio sottostante, prima che l’Aventino, dopo Prata, getti le sue acque nella piana di Casoli. Inoltre, la rupe sembra posizionarsi su uno snodo viario, molto importante nel passato, dove giungevano antiche strade rurali e tratturelli provenienti dal fondovalle, dal Tratturo dell’Aventino e da altre ‘vie pubbliche’, tra cui la ‘via per le vigne’.

‘La Morgia’

“La Morgia” (al centro della foto) è l’enorme roccia che, secondo la tradizione popolare, il gigante biblico Sansone trasportò e poggiò nella valle dell’Aventino.

‘La pedata di Sansone’

L’incavo sulla roccia calcarea affiorante, situata nei pressi della chiesa sul suo lato occidentale, che riproduce quasi esattamente l’orma del piede destro del gigante; si possono notare l’affossamento del tallone (in alto nella foto) e l’impronta del primo dito (in basso e a destra nella foto). Dirimpetto, sull’opposta sponda dell’Aventino, sopra l’abitato di Lama un altro masso detto ‘Pietra di Sansone’ su cui la tradizione popolare ‘vede’ incisa l’altra orma del gigante.

Il corpo della Chiesa della Madonna delle Rose, insieme al suo altare, sono risalenti a metà del XIX secolo ma, naturalmente, il culto mariano è molto più antico. La tradizione popolare di Torricella narra che “tanto tempo fa, in una piccola grotta circondata da rose, situata al di sotto delle rupe ove oggi sorge la chiesa, apparve l’immagine (o, si rinvenne la statua) della Madonna”. Tra la fine del ‘600 e l’inizio del ‘700, probabilmente, fu edificata una prima piccola chiesa insieme ad una contigua dimora che ha ospitato, fino al secolo scorso, un eremita. La festa religiosa e popolare della Madonna delle Rose si compie la prima domenica dopo la Pentecoste ma la chiesa (e il luogo ove essa si trova) è stata sempre meta di pellegrinaggio, in particolare nel periodo di Pasqua. In ricordo dell’apparizione della Madonna, durante il mese di maggio, i pellegrini preparavano e portavano con loro ghirlande e collane preparate con i fiori di rosa; usanza che descrive il poeta abruzzese D’Annunzio in ‘Novelle della Pescara’.
Una processione con le statue dei santi protettori di Torricella partiva dalla Chiesa di San Giacomo fino a giungere nei pressi del santuario del Roseto e la Madonna, solo dopo aver avvistato tra i colli odorosi e coronati di ginestre il loro arrivo, veniva portata fuori dalla chiesa per andargli incontro. Il tutto avveniva tra gli ‘spari di mortaletti’ e il suono di campane e tra musiche e canti popolari e religiosi dei pellegrini. Visitata la chiesa, la gente si sperdeva sotto l’ombra delle grandi querce e sui prati rigogliosi di fioriture, a consumare pietanze, ‘fiadoni’ e altri dolci e scambiarsi le ‘primizie’. Altri andavano a bere per devozione l’acqua della Madonna che sgorgava limpida e fresca tra due massi a breve distanza dalla chiesa (oggi, captata dal pozzo situato lungo la strada di accesso al santuario). Sempre nel giorno della festa, altri pellegrini si recavano a vedere e a baciare la ‘pedata di Sansone’; il mito paleocristiano ancora vivo, fino a metà del secolo scorso, nel popolo di Torricella e dei paesi limitrofi.

Tra la fine del XVII secolo e l’inizio del XVIII secolo fu edificata una prima chiesa rupestre (insieme alla ‘cella’ dell’eremita), forse, sul sito paleocristiano dedicato al culto pastorale di Sansone. Nei primi decenni dell’Ottocento l’edificio fu ristrutturato ed ampliato. I lavori terminarono nel 1858, con la messa in opera, probabilmente, anche dell’architrave del portone sul quale è incisa la data del 15 aprile 1552. Negli stessi anni si stavano effettuando grandi lavori di ristrutturazione anche sulla Chiesa di San Giacomo Apostolo e questo architrave fu recuperato per la nuova Chiesa della Madonna delle Rose. Nel XVI secolo la Chiesa di San Giacomo di Torricella ampliò la sua struttura e l’inscrizione e la data potrebbero essere riferiti a tali eventi. Sulle due pietre che compongono l’architrave vi è inciso: “HIC NIHIL ALIU(n)DE NISI DOMI DEII E(t) PO(r)TA C(o)ELI * DIE XV APL 1552”, ossia, “Qui da nessun’altra parte, se non nella casa di Dio e porta del cielo, giorno 15 aprile 1552”.

Nelle foto
In alto: la Chiesa della Madonna delle Rose (al centro della foto) vista dall’abitato di Torricella; in secondo piano il paese di Lama dove la tradizione popolare ravvisa l’altra ‘pedata di Sansone’.
Al centro: portone e architrave della chiesa.
In basso: strumenti musicali disegnati all’interno della chiesa; essi ci riportano indietro nel tempo facendoci immaginare le musiche e i canti dei pellegrini durante la festa popolare della Madonna delle Rose.